Quattro poesie per un addio, Teresa Casella

 

 

TUTTO E SOLO QUESTO

Se l'avessi nei polmoni come l'aria che respiro

io sputerei per terra, come fanno gli uomini,

vorrei vederlo a terra e rinnegato,

magari mischiato alla saliva di uno sconosciuto.

 

Potessi essere io l'uomo, la prenderei nel sangue.

Gliela farei pagare.

Questa mano, tu la vedi, guardala ora,

mentre gravosa preme su quella maschera di faccia.

Immagina che sgonfi le sue guance tonde,

bagnata e scivolosa su lacrime truccate,

che opponga il palmo molle a quei denti come zanne,

e schiacci rabbiosa la sua grande bocca rossa.

 

Non mollerei la presa.

La terrei ferma, sotto.

Lei, il mio lui, misero fagotto,

piccola cosa inerme, tremante e vinta.

Se lui fosse così, tutto e solo questo,

se fosse come me, piccola cosa inerme, allora capirebbe.

E il male che mi fece mordendomi il cuore,

credi, solo allora, servirebbe a qualcosa.

 

ATTESA

Aspetto che arrivi, e già scompigli

pensieri che a fatica cerco di ordinare.

Sei una certezza tale che confonde la ragione

e allora perché tentare di capire.

Sei latte nel cuore e vino sul cuscino,

sposalizio stonato senza fede né anelli,

né scoppi di risa o riso tra i capelli.

C'è il gusto di vedere che la macchia si allarga,

è oceano per noi decisi ad affogare,

perché ci piace nuotare nel punto più profondo.

E' un bene il nostro che non si può definire

e allora perché tentare di capire.

 

FINITO

Sotto una lastra ghiacciata

dentro una bolla d'aria respirando piano,

per non consumare la poca vita che rimane.

Un latrare straziato mi spacca la bocca,

povero lupo dei ghiacci,

con le zanne scalfite e il mantello insanguinato.

Tu e il tuo potere di salvarmi.

Tu e il tuo guardarmi morire.

Tu e il mio sangue schizzato,

tu e il mio bavoso ansimare,

tu, la mia preghiera disperata.

Tu ed io, amico, siamo spacciati.

Il nostro oceano respira lontano

e in questo fiume ogni annaspare è vano.

 

FUGGIASCHI

Non li voglio più, feticci insensati,

sacrifici immolati a propositi abortiti,

impulsi controllati, incontri rubati.

Ladri che siamo, col bottino nella giacca,

pronti a gettarlo in un fiume di rifiuti

per riprendercelo poi, frugando come topi.

Falsi che siamo, e pavidi, idioti.

Questo bottino puzza come lenzuola usate,

eppure ci ficchiamo ancora i corpi dentro

così che i nostri umori rimangano nel tempo.

Fa freddo in questo anfratto.

La pelle si accartoccia, non ci spogliamo più.

Ho voglia di una doccia, di respirar pulito.

Ho voglia di strapparti il bottino dalle braccia,

molliamolo qui, ora, così salvi la faccia!

E torna alla tua chiesa, dalla tua luce sposa,

lei non ti chiederà della tua giacca lisa

(adoro quella stoffa così rovinata,

te la porti addosso da quando sei fuggito).

Storcerà il naso vedendola strappata,

e la crederà usurata, buona per farne stracci.

Tu volterai le spalle, così come adesso fai,

schiacciato dal peso grave di frasi dette mai

sempre e solo rimaste appese,

senza più fuggire, senza capire,

quale assurda prigione

sia il non dire.

 

Maria Teresa Casella