Shakespeare & Company - un archivio

 

 

PARIGI D'INVERNO

Quando tornammo a Parigi, il tempo era sereno, freddo e delizioso. La città si era organizzata per l'inverno, c'era della buona legna in vendita nel negozio di legna e carbone dall'altra parte della nostra strada, e c'erano bracieri fuori dai caffè, così che si poteva stare al caldo sulle terrazze. Il nostro appartamento era caldo e allegro.  Bruciavamo boulets ,che erano pezzi di polvere di carbone a forma di uovo, sulla legna da ardere, e per le strade la luce invernale era meravigliosa. Ci si era abituati a guardare gli alberi spogli contro il cielo e si camminava sui sentieri di ghiaia lavata di fresco dei giardini del Lussemburgo nel vento terso e pungente. Gli alberi erano sculture senza le foglie, quando ci si era riconciliati con essi, e i venti invernali soffiavano sulla superficie degli specchi d'acqua e le fontane si increspavano nella luce trasparente. Tutte le distanze erano brevi, perché venivamo dalle montagne.

Ernest Hemingway - FESTA MOBILE

 

 

AL CAFE' DES ALLIES

Dick e la signora Spears, sedevano al Café des Alliés a Cannes. Era ormai agosto e le foglie erano tutte polverose e lo scintillio della mica era appannato e polveroso sul suolo cotto dal sole. Qualche raffica di maestrale proveniente da un punto lontano della costa soffiava attraverso l'Esterel e faceva dondolare le barche da pesca nel porto, puntando gli alberi qua e là contro il cielo uniforme.I camerieri sudavano lavorando all'ombra.

Scott Fitzgerald - TENERA E' LA NOTTE

 

 

LA POLVERE E LE FOGLIE

Alla fine dell'estate di quell'anno abitavamo in una casa di un paese che guardava le montagne al di là del fiume e della pianura. Nel letto del fiume c'erano ciottoli e massi, asciutti e bianchi sotto il sole, e l'acqua scorreva veloce e azzurra nei canali. Le truppe passavano davanti alla casa e proseguivano lungo la strada e la polvere che sollevavano ricopriva le foglie degli alberi. Anche i tronchi erano polverosi e le foglie caddero presto quell'anno, e noi vedevamo le truppe in marcia sulla strada, e la polvere che si alzava e le foglie che, mosse dal vento, cadevano e i soldati in marcia e poi la strada nuda e bianca se non per quelle foglie.

Ernest Hemingway - ADDIO ALLE ARMI

 

 

UN FIAMMIFERO TREMANTE

Nella sala da musica Gatsby accese una lampada solitaria accanto al pianoforte. Avvicinò un fiammifero tremante alla sigaretta di Daisy e sedette con lei su un divano in fondo alla stanza, dove non c'era altra luce se non quella dell'atrio, che batteva sul pavimento scintillante.

Scott Fitzgerald - IL GRANDE GATSBY

 

 

NICK SUL PONTE

Nick guardò il fianco bruciato della collina. Poi si incamminò lungo le rotaie verso il ponte sul fiume. Il fiume c'era. Formava vortici intorno ai piloni di legno del ponte. Nick guardò giù l'acqua limpida e bruna, che i sassi coloravano, e vide le trote mantenersi ferme nella corrente muovendo le pinne. Guardandole vide che mutavano posizione con angoli improvvisi, per mantenersi ferme nella corrente veloce. Nick rimase a guardarle per molto tempo. In fondo al fiume c'erano le trote grosse. Nick non le vide subito. Poi le scorse sul fondo, grosse trote che si tenevano sul fondo di sassi, in un misto di sassi e di terriccio che la corrente sollevava a spruzzi. Nick guardava nell'acqua dal ponte. Era una giornata calda. Un uccello pescatore arrivò in volo sul fiume. Era molto tempo che Nick non vedeva un fiume e delle trote nell'acqua del fiume. Quando l'ombra dell'uccello pescatore passò sul fiume, una grossa trota scattò contro corrente, con un forte angolo.

Ernest Hemingway - IL GRANDE FIUME DAI DUE CUORI

 

 

IN UN POLIGONO SVUOTATO DAL CREPUSCOLO

Il Grande Fiume dai due Cuori è solo la storia di un ragazzo che va a pesca, niente di più. Ma l'ho letto con l'interesse più recalcitrante e trepido che abbia mai provato da quando Conrad abbassò i suoi occhi restii sul mare. Una vota Dorothy Parker ha detto che Ernest poteva risvegliare l'interesse di una madre superiora per una sei giorni ciclistica o qualcosa del genere. Io non pretendo di avere un simile talento. Sto qui come un soldato inetto seduto in un poligono vuotato dal crepuscolo, con un fucile scarico tra le mani, tutti i bersagli intorno colpiti  e reclinati.    

Scott Fitzgerald - LETTERE

 

 

DOVE SONO ORA?

     ...descrivevo la notte e la oscurità in America e i volti dei dormienti in diecimila piccole città e la marea del sonno e i fiumi che scorrono eternamente nell'oscurità. Descrivevo il rombante avanzare delle maree su diecimila miglia di costa e la luna che risplende su paesaggi selvaggi e accende di vivida luce gialla i freddi occhi dei gatti. Descrivevo la morte e il sonno e quella favolosa rocca di vita che noi chiamiamo città. Descrivevo l'ottobre, i lunghi treni che passano con fragore di tuono attraverso la notte, le navi e le stazioni al mattino,gli uomini e il traffico dei porti...

     C'era inoltre una sezione intestata "Dove sono ora?" dove avevo annotato tutte quelle migliaia di cose che tutti noi abbiamo visto solo per un attimo. Momenti di vita fuggevoli come il brillare di un lampo che al momento non sembrano importanti ma che invece vivono per sempre nella nostra coscienza e nel nostro cuore come se in essi si assommasse tutta la gioia e il dolore dell'umano destino, attimi di vita insomma che, lo sentiamo, hanno per noi maggiore importanza di fatti apparentemente ben più gravi."Dove sono ora"? Quieti passi che hai sentito molti anni fa avvicinarsi e svanire nella notte estiva lungo il viale alberato di una cittadina del Sud; una voce di donna, il suo improvviso scoppio di risa con quel suo particolare tono di sommessa tenerezza; poi le voci e i passi che si allontanano, silenzio, lo stormire delle fronde. "Dove sono ora?" Due treni che si fermano, affiancati, in una stazioncina di qualche piccola città in un momento indistinto del tempo sull'immenso continente; una ragazza che ti guardava sorridente dal finestrino dell'altro treno; un'altra che hai visto passare in motocicletta per le strade di Norfolk...descrivevo il tram fermarsi sulla collina sopra la casa a mezzogiorno e Ernest Peagram che tornava a casa per colazione augurando a tutti a alta voce buon appetito...descrivevo il senso di vuoto e di solitudine nella vasta luminosità verde-dorata e un cancello di ferro che sbatteva e infine il lento spegnersi del chiarore di quella perduta giornata..."Dove sono ora?"

Thomas Wolfe - STORIA DI UN ROMANZO

 

 

GLI OCCHI DI PERKINS

 Aveva occhi celesti pieni di una strana luce nebulosa, con dentro una specie di remoto tempo marittimo, occhi di un marinaio del New England in partenza per lunghi mesi alla volta della Cina  su un veliero oceanico, con dentro qualcosa di annegato, di disperso in mare.

Thomas Wolfe  LETTERE

 

 

MORIRE

Qualcosa mi ha parlato nella notte bruciando le candele dell'anno che va scomparendo e mi ha detto che morirò, non so dove. Mi ha detto "Perdere la terra che tu conosci per una conoscenza maggiore, perdere la vita che hai per una vita più vasta, perdere gli amici che amavi per un amore più grande, trovare una terra piu dolce della tua casa, più grande del mondo...Là dove sono piantati i pilastri di questa terra, là dove tende la coscienza del mondo, un vento si leva e straripano i fiumi.

Thomas Wolfe LETTERE

 

 

ANCHE  SENZA FISARMONICA

E' l'autunno del mio secondo anno a Parigi. Non ho né soldi, né risorse, né speranze. Sono l'uomo più felice del mondo. Tutto quello che era letteratura mi è cascato di dosso. Non ci sono più libri da scrivere grazie a Dio. E questo allora? Questo non è un libro. E' libello, calunnia, diffamazione. Questo è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all'Arte, un calcio alla Divinità, all'Uomo, al Destino, al Tempo, alla Bellezza, all'Amore... a quel che vi pare. Canterò per voi, forse stonerò un po' ma canterò. Canterò mentre crepate, danzerò sulla vostra sporca carogna...Per cantare bisogna prima aprire la bocca. Ci vogliono un paio di polmoni e qualche nozione di musica. Non occorre avere la fisarmonica. Quel che conta  è voler cantare. E dunque questo è canto. Io canto.

Henry Miller - TROPICO DEL CANCRO

 

 

RICEVIMENTO

Mrs. Henedge abitava in una casetta con una scala che era un vero attentato alla vita.

"Se morrò qui", diceva spesso," non riusciranno mai a portare la bara fuori dalla porta. Dovranno cremarmi nella mia camera". Ma, date le proporzioni del villino, le stanze di soggiorno erano eccezionalmente grandi. Il salotto una vera sorpresa: la tappezzeria di pesante broccato, a cascate di orchidee lilla su uno sfondo giallo, creava l'effetto ottico di un ambiente più raccolto di quanto non fosse in realtà.

"Miss Compostella", annunciò cerimoniosamente la domestica a lei e tutti gli altri ospiti..

Nessuno avrebbe mai sospettato che Miss Compostella fosse un'attrice. Aveva un'aria così schiva...Di un pallore eccessivo, coi lineamenti irregolari, il suo volto riceveva vita soprattutto dalle labbra rosse lunghe e sottili, ma era impossibile non avvertire che tutta l'anima di Miss Compostella era racchiusa nel naso. Era il suo unico elemento delicato, vibratile e fremente.

"Com'ero?" mormorò dopo aver stretto alcune mani," ero così nervosa che le battute non mi uscivano di bocca!"

"Cara, sei morta in modo magnifico!"

"La sua stanca estasi", ammise Mrs. Henedge," è proprio conturbante!"

"Guardatevi da Mr. Calvally!" mormorò Mrs. Asp passando alle loro spalle per prendere una sedia, "ha ridotto la povera Lady Georgia a un levriero e ha trasformato il generale Montgomery in un montone coi capelli così contorti che sembrano corna!"

"Eh si cara," spiegava trionfante Mrs. Thumbler a chiarificazione di un breve ma violento armeggìo avuto con Monsignor Parr," stavo quasi per trovarmelo sulle ginocchia!"

Poi gli ospiti sciamarono verso il tavolo addobbato come un altare. Il momento critico del pranzo era arrivato.

Ronald Firbank - VANAGLORIA                                                                                                                          

                                                                                                                                                 

 

LA PRIMA NAVE

Ma come posai gli occhi sulla mia nave tutti i miei timori svanirono. Se ne andarono veloci come un cattivo sogno. Soltanto che un sogno non lascia vergogna dietro di sé e io ne sentivo in quel momento per tutti i miei indegni sospetti su di lei. Sì, eccola. Il suo scafo, la sua attrezzatura riempivano i miei occhi di gioia. Alla prima occhiata vidi che era una nave di prim'ordine, una creatura armoniosa nelle linee del suo corpo ben fatto, nella altezza proporzionata della sua alberatura. Qualunque fosse la sua età e la sua storia, aveva conservata l'impronta della sua origine. Era una di quelle navi che, grazie alla loro linea e all'accurata rifinitura, non sembreranno mai vecchie. Fra le sue compagne ormeggiate alla riva, e tutte più grandi,sembrava una creatura d'alto lignaggio: un destriero arabo allineato con cavalli da tiro.

Mezz'ora più tardi ponendo piede sul ponte per la prima volta, provai il senso di una profonda soddisfazione fisica. Niente poteva eguagliare la pienezza di quel momento, la compiutezza ideale di quella emozione, che mi toccava senza il tormento e i disinganni di una carriera mediocre. La percorsi e l'avvolsi con una rapida occhiata dando forma concreta all'astratto sentimento del mio comando. Gli infiniti particolari percettibili a un marinaio mi colpirono intensamente l'occhio e la vidi spoglia in quel momento delle condizioni materiali del suo essere. Un sogno. Più di un sogno. Persino la gialla brigata dei coolies  affaccendata intorno al grande boccaporto era meno concreta della materia di cui sono fatti i sogni. Perchè chi, sulla terra, sognerebbe dei cinesi?

Joseph Conrad - LA LINEA D'OMBRA

 

 

                                                work in progress...