Principessa - recensione di Cesare de Michelis

PRINCIPESSA, di Gianfranco Calligarich, Bompiani, pag 171, 16 euro  

Gianfranco Calligarich è scrittore al tempo stesso generosamente prolifico e straordinariamente parsimonioso, se per un verso ha lavorato tutta la vita scrivendo per i giornali, il cinema,  la televisione e il teatro, per l'altro alla letteratura -verrebbe di scriverla con la maiuscola, la Letteratura- ha donato, compreso quest'ultimo Principessa (Bompiani, pp. 176, € 16,00), soltanto quattro libri smilzi, ciascuno dei quali tuttavia esercita la fascinazione maliosa e inquietante dei romanzi che toccano nel profondo.

Lasciamo perdere gli altri per ora, e proviamo a spiegare perché Principessa non è affatto un racconto di droga, come invece si presenta, ma una riflessione lucida e disincantata sulla difficoltà di essere se stessi in una società dove prima di tutto si deve accettare un ruolo riconoscibile dagli altri e dal quale è difficile se non addirittura impossibile uscire senza perdersi irrimediabilmente.

Chi racconta è un corriere della droga che giunto a Milano non riesce a consegnare la merce perché il ricevitore non si trova e quindi, inseguito dai debiti di gioco che aspettano di essere saldati, cerca riparo, nascondendosi nell'anonimato della periferia metropolitana, affittando provvisoriamente una stanza -un nido- da un silenzioso disegnatore, che ben presto rivelerà una doppia vita, poiché la notte si trasforma in un travestito, senza contare che la domenica diventa un figlio modello e quando può è un cinéphile tutt'altro che sprovveduto.

Tra i due comincia una dura partita che ha per posta il tesoro che l'affittacamere deve avere messo da parte nella sue avventure notturne e nasconde nella sua camera perennemente presidiata: il corriere è glaciale nella sua disincantata razionalità e compie ogni mossa con la determinazione del giocatore di scacchi, sordo a qualsiasi pulsione affettiva,procede perciò circuendo e seducendo senza pietà la sua vittima, che puntualmente cade nella trappola, senza tuttavia esporsi a troppi rischi, anzi a sua volta coinvolge il carnefice nel tran tran familiare con la madre, così finalmente riempito di una storia carica di attese.

La relazione tra i due resta sospesa nell'arco delle tre settimane della loro convivenza,  lasciando affiorare i desideri e le emozioni di entrambi, trattenuti certo dalla prudenza e dall'ansia di compromettere quell'ordine nel quale si muovono protetti, appunto, dal ruolo che ciascuno ha scelto per sé, ma al tempo stesso in ogni momento tesi e vibranti, come del resto è inevitabile sfiorando i confini dell'eros e quegli altri non meno conturbanti della paura, che è minacciosamente onnipresente.

Se Principessa -è il nome d'arte dell'affittacamere- rimane seduta "con le mani strette tra le cosce. Come per stringerci dentro tutta la sua infelicità", il corriere, proprio quando l'ha vinta, vedrà finire "la pallina della roulette nella casella sbagliata", ma la storia non è conclusa, soltanto ha chiarito che i ruoli non si cambiano e che solo l'averlo progettato è colpa grave che rimescola le carte del destino.

Mentre nello scenario nebbioso dell'inverno milanese -decisivo per l'ambientazione del racconto- l'orizzonte smarrisce i contorni e la vista inevitabilmente si appanna, la ruota della fortuna si rimette in moto, ponendo termine a quel tempo sospeso durante il quale la ragione si era illusa di tenere a bada quel "Comandante Segreto" che scombussola qualsiasi piano e ne rivela le crepe: il sentimento, o il desiderio incontenibile e prepotente, prende lui le decisioni definitive, violando l'obbligo del rigore, la linearità di un percorso, indifferente ai ruoli, alle regole, agli schemi.

A questo punto la coriacea ragione del maligno, che si è illusa di guidare la sorte, ha davvero perduto e la sue regole non valgono più, a cominciare dalla prima, che recita "adeguarsi alle circostanze. Sempre. Soprattutto se si è alle corde", e il tarlo del dubbio, il tormento del rimorso, spogliano i personaggi delle loro divise, restituendoli indifesi al giudizio, alla coscienza, alla colpa.

La Letteratura è tutta qui, nell'invenzione che capovolge il senso prevedibile del racconto, tanto più se di genere, come questo vuole apparire, e rivela quell'altro, segreto, che naturalmente vale ben di più.

 

Cesare De Michelis