Icaro, G.C.

"Enciclopedia mitologica" 2001

 

“Io non capivo la tristezza di mio padre
sulle coste di Creta e perchè ogni sera
al tramonto guardasse con tanta nostalgia
verso Atene. Era pur sempre Dedalo.
Il più grande architetto di Grecia.
Il famoso costruttore del Labirinto,
il Nero Palazzo senza vie di scampo
come la Memoria.
Non sapevo che mio padre, a Atene,
aveva ucciso Perdice temendo di essere
superato da lui in fama e grandezza
e che per questo Re Minosse
lo aveva esiliato nel Labirinto
che lui stesso aveva costruito.
Poi un giorno mio padre cominciò
a rubare la cera alle api che ronzavano
tra gli ulivi, nel sole, e le penne agli
uccelli che venivano fiduciosi a posarsi
sulle nostre finestre
Quindi costruì per sè e per me
due grandi ali bianche e leggere come
la neve dei monti e me le applicò
alle braccia dicendomi di seguirlo.
”Perche, Icaro, Minosse è re della terra
e del mare” disse” ma noi saremo
i re del cielo e dell’aria, torneremo a Atene
e saremo accolti in trionfo”!

Dio com’era bianca la terra e azzurro il mare
laggiù dove i pescatori volgevano stupiti
lo sguardo al passare delle nostre due fuggevoli
ombre leggere più delle nuvole!
Dio come gridava mio padre!
“Icaro! Sono il più grande! Neanche Perdice
avrebbe saputo fare di meglio! Sono io
il più grande architetto che è esistito e esisterà”!
Io allora cominciai a sbattere le braccia
per applaudirlo. E più sbattevo le braccia
e più mi alzavo nel cielo.
Fu così che mi alzai troppo.
Fu cosi che mi avvicinai troppo al sole
e la cera delle ali si sciolse. Fu così che precipitai in mare,
annegando. Fu così che passai alla Storia.

Per essere stato il primo a rimetterci le penne
per aver dato retta a un architetto”.

G.C.

If, lamento di un giocatore di club, G.C.

Lamento di un giocatore di club

A volte, quando ho giocato e vinto,
penso proprio che avrei potuto essere
il primo al mondo,in quel maledetto
gioco che è il tennis.
Sì, se avessi iniziato da giovane
e non da adulto,
se avessi avuto un grande maestro
e non un petulante palleggiatore prezzolato,
se fossi stato più alto,
ma non impacciato, veloce.
Se fossi stato fisicamente più resistente
e meno labile psicologicamente,
più autorevole in campo,
o solo meno succube dell’avversario.
Se il mio dritto fosse stato devastante,
il servizio potente e sempre dentro
al primo colpo,
e se il rovescio fosse stato sempre teso, sulle righe
invece che troppo spesso fuori.
Se invece di subire i passanti
li avessi sempre inflitti, agli avversari.
Insomma se le cose fossero andate diversamente,
o magari solo se la madre di mia madre
avesse avuto le ruote, beh
credo proprio che pochi al mondo mi avrebbero battuto,
in quel maledetto gioco che è il tennis.

G.C. 1996

Fausto, Ottavio Sampietro

Oltre la linea d’ombra
arida mi sembrava la Puglia
paterna
e la materna Roma, un’avventura
immaginata. Ma diverso ero sempre,
nessuna linfa antica
sembrava mai fluire dalla mia voce;
troppo chiara la mente,
l’anima era fatta di sogni
e una superbia ignara
falsava il mio andare leggero.
In eroi narrati amavo
l’ardimento di vivere:
Robin-Errolflynn-Hood, Taras Bulba
e, il capitano Mac Whirr –
Ritagliavo miei angoli di vita
nascosti tra le foto gloriose
del Falzàrego
del gigante Izòard; sulle cronache
radio ( echi
nel riposo pomeridiano
colti dalle finestre per le strade
della città di mare)
solitario seguivo i voli solitari di Fausto
Coppi. Una volta lo vidi.
Diretto a una partenza in un chiaro silenzio
scivolava via piano oltre le teste e le voci
di una piccola folla;
sorrideva tra sè appena, nell’aria
quasi autunnale del primo mattino.
Era un’ora furtiva nel mio quartiere,
finiva una stagione.
Così vicino, e lontano,
rimane ancora il volto
quel volto giovane,
chiuso nella caparbia malinconia
della vittoria, fermo istante rubato.

Ottavio Sampietro