Soli in treno - cosa legge la gente in treno, Alessandro Trocino

 

 

Roma-Milano, “L’ultima estate in citta’” di Calligarich.

di Alessandro Trocino

Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno, senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine”. 

Apro “L’Ultima estate in città”, di Gianfranco Calligarich. Sono su un Trenitalia che da Roma Ostiense mi porta a Milano Garibaldi. E’ una bellissima edizione Garzanti, la prima, dell’aprile 1973.

La copertina rigida e bianca è un piccolo capolavoro di arte contemporanea, decisamente seventy. La stilizzazione grafica di un pezzo di città, un palazzo a piramide, una strada rossa e nera, un intreccio di spazi e figure che alludono a sottopassaggi e tunnel. Di fianco a me, una ragazzina con l’ombretto verde e labbra troppo consapevoli legge “Mille splendidi soli”. Chiede chi sono i talebani. La madre risponde, mal volentieri: gente cattiva. Un ragazzo con la barba e il maglioncino rosso Fred Perry sorride, scuotendo in aria Philippe Daverio e il suo Museo immaginario. 

Accanto a me la ragazza, remota, le mani serrate sull’impermeabile, gli occhi socchiusi, aspirava avida il profumo dei platani con la soddisfazione di chi si trovasse nel proprio giardino insieme a un ospite casuale. Per darmi un contegno guardai il cielo. Era nero, altissimo, solcato da grandi nuvole in rotta”. 

La voce metallica di Eataly dice che è vietato fumare “anche nelle tòilette”. L’accento sulla o mi rovina un minuto buono di concentrazione. Guardo l’Ipad: come ho potuto comprare una copertina ocra? Nessun messaggio in arrivo. Il Blackberry occhieggia di luce rossa: c’è vita là dentro. Una mail non letta: “E’ arrivato il nuovo Calendario di Frate Indovino 2013, che avrà come protagonista il Poverello, San Francesco”.

Mi domandai se esistesse qualcosa al mondo capace di distruggerla, lei e la sua fragilità”.

Ancora la Voce metallica che mi rimbomba dentro. Avverte che nel caso che qualche mascalzone decidesse di accendersi una sigaretta, sia pure nella tòillette, si attiverebbero immediatamente i liquidi antincendio. Ho l’impulso di cominciare a fumare. Dal taschino estraggo un Havana e lo accendo. Lo aspiro e rischio di morire, soffocato dalla tosse e dal fumo. Dal tetto della carrozza numero 10 cominciano a zampillare fontanelle di liquido nero. Nessuno sembra accorgersi di nulla. I capelli lucidi della ragazza si bagnano e diventano mille splendidi soli vischiosi. Una signora che legge Marco Malvaldi, “Milioni di milioni”, è impassibile. Si apre la porta automatica della carrozza e avanzano alcune galline sorridenti. Fanno un inchino e non si accorgono di nulla. Vorrei avvertire tutti dell’incendio, ma sono come paralizzato. Sobbalzo solo al pensiero che presto la preziosa copertina di Calligarich si infradicerà di liquido nero antincendio. Ripenso a Fahrenheit e ai paradossi della storia. Mi sveglio sudato e vedo la smorfia di disprezzo della ragazzina. Stai leggendo un libro di merda, penso, prima di riaddormentarmi. 

Ma il freddo non mi passava e allora feci una cosa stupida. Mi misi a piangere”. 

La Voce dice che un dream manager si occuperà di noi. Non si capisce bene, in effetti, forse la Voce dice “team manager”. Eppure ci vorrebbe un dream manager che si occupasse di noi, dei nostri sogni, delle cose che non accadono, dei volti pesanti di rughe, della notte che è solo oscurità. Chiunque esso sia, questo dream manager non si fa vedere per tutto il viaggio e le tòilette restano intasate.

Dopo i tentati suicidi ci vuole molta dignità”.

Al Carrobbio due tizi parlottano tra loro: “Sei poi andato dalla pische?”. Il tassista che mi porta all’Ostello Bello mi chiede come va. E’ una scusa per sentirsi rivolgere la stessa domanda: “Ora bene – dice, muovendo il volante di gomma appiccicosa con circospezione – Sono stato fortunato. Una vedova mi ha voluto bene. Si è presa cura di me e della mia biancheria”. 

Il fiume è dentro di noi, il mare tutt’intorno”. 

Ho lasciato riposare “L’ultima estate in città” per un po’ dentro una valigia chiusa. Ora sono dentro l’inverno del Tgv, in viaggio verso la Parigi del reveillon. I passeggeri hanno facce leggere di vacanze, indossano capelli biondi con disinvoltura e bellissime pelli da efebi. Leggono con occhi a palla su apparecchietti metallici minuscoli, Kindle e Kobe. Una ragazza di Torino è sprofondata dentro un enorme libro di carta di Piersandro Pallavicini. Questo mi dà speranza. Non bisogna mai disperare del mercato, dell’omologazione. Lei legge Pallavicini: è andata in libreria, lo ha cercato, lo ha comprato e ora lo sta leggendo. Forse arriverà persino alla fine. 

Eppure era bello uscire di casa al mattino insieme agli altri. Ti faceva sentire in ordine”. 

C’è questa ragazza con una cuffia di morbido pelo bianco, di quelle per non sentire freddo non per ascoltare la musica, che sta riversa ed esanime sul sedile viola del Tgv, la testa all’indietro, gli occhi gonfi dal sonno. Davanti a lei, chiuso, un librone bianco: “Sei introverso?”. 

Penso a un incipit per un libro. Mi viene in mente il Carver dì “Quello che mi ha detto il medico” e scrivo: “Il medico che mi accolse aveva un camice più bianco di quanto fosse necessario e quella leggera e immotivata euforia che solo la sofferenza che sta per dispensare poteva giustificare”. 

Sbircio la mail sull’Ipad di un tizio con i capelli a spiovere, scarpe a punta e un principio di intossicazione: “Caro Sergio credo di avere risposto alla tua domanda dalle pagine di Audio Review con il progetto di un Subwoofer pensato, voluto e realizzato per una Quad. Credo di avere risolto i limiti dinamici a bassa frequenza”. Penso a quanto debba sentirsi orgoglioso, ad aver sconfitto i limiti, dinamici. 

Possiamo chiudere? – disse l’uomo dell’agenzia. Allora misi nella bara il pacchetto di Lucky Strike”.

Le nuvole si muovevano sfrangiate a blocchi, nella direzione opposta del treno. Sembrava la scena di un film dozzinale, ma era la scena del mio film. Parigi stava arrivando, come ogni anno, e con lei la Hune, le Champo, le Reflet Médicis, lo Chateaubriand, Canal Saint-Martin, il ricordo di Jean Eustache e tutte quelle Anna Karina sedute nelle brasserie, la sigaretta che vibra leggera, architetture di mani sottili sospese nell’aria. 

Come sta Graziano?, disse, dopo avermi baciato sulle guance. Bene”

Il controllore francese distribuisce un pacchetto avvolto in carta argentata. Vergani c’è scritto appena sotto un Duomo stilizzato. Il vero panettone milanese. Panettone cake. 

Per i primi cento chilometri nessuno parlò. Fu quella volta che scoprii che due persone fanno più silenzio di una”. 

Un uomo con la sciarpa perfettamente intrecciata dorme con le mani conserte e l’occhiale sospeso sugli occhi, leggermente inclinato sul lato sinistro. Davanti a lui, una bottiglia d’acqua, un berretto di lana e di traverso Exit, di Alicia Giménez-Bartlett 

Vuoi morire? Sai cos’è una sindrome crepuscolare? Sentii che diceva qualcosa a proposito di interruzione di coscienza, di primitiva personalità, agitazione ansiosa, stato stuporoso, atti automatici,  delirio monotono e confabulazione. Confabulazione mi piacque molto”. 

Citazioni tratte da L’ultima estate in città di Gianfranco Calligarich, Garzanti, 1973