A onore delle armi - una apolgia, Sandro Bajini

 

 Ai dardi della guerra troiana; alle frecce, avvelenate e no, degli altri popoli; alle clave; ai frangicapo; alle mazze ferrate; a tutte le spade, purché non siano di Damocle; alle daghe dei Daci; alle baionette; alle scuri e alle bipenni; alle draghinasse; alle mannaie; alle misericordie; ai pugnali; alle sciabole; alle scimitarre; alle alabarde; ai brandistocchi; ai mazzafrusti; agli arieti; alle catapulte; alle lance; alle picche; alle ronche; alle serpentine; alle zagaglie; alle ghigliottine; ai temperini, che nella loro modestia possono sempre tagliare una carotide;a tutte le armi nate dopo l’invenzione della polvere da sparo;a tutte le armi che si valgono della scissione dell’atomo; a tutte le armi chimiche.

 

 

Anche la Niña la Pinta e la Santa Maria

hanno scoperto che il Nuovo Continente

non si raggiunge senza un mezzo

adeguato.

 Cristoforo, d’accordo,

 ma a quei legni impeciati

 si deve pure un po’ di gratitudine

 che avrebbe fatto Annibale

 senza elefanti?

 Cleopatra ha trovato comodo

 avere un aspide a disposizione

e che dire della cicuta

che rese felici Anito e Meleto e Licone?

Gli uomini sono ingrati,

si fanno fuori

senza ringraziare nessuno,

onorano la guerra da millnni

 e non pensano a ciò che la rende possibile,

 all’orchestra che esegue l’eterna sinfonia

 dei morti ammazzati …

 Che sarebbe la guerra senza le armi?

 un alterco

 di comari al mercato

 una rissa fra diplomatici

 o se va bene una penosa

 sequela di spedizioni punitive.

 Chi oggi come oggi vorrebbe

 un ritorno alle frecce col curaro,

 ai duelli

 con la clava?

 Sarebbero dolorose rinunce,

 tutto un procrastinare,

 un attendere tempi migliori,

 non sai quant’è più comodo trovare

 missili e carri armati fin che vuoi?

 E arnesi di tutte le fogge che possono

 esplodere ad un cenno,

 accendere il fuoco a distanza

 e rispondere senza imbarazzo

 all’eterna domanda che l’uomo si pone:

 come possiamo ucciderci fra di noi

 non uno dopo l’altro ma in una volta sola

 e in numero soddisfacente?

 

Ma l’uomo dissimula appena può,

 chiuso in un pavido silenzio.

 Davide che lancia il sasso e nasconde la fionda

 non il è suo forte la coerenza

 e lascia languire persino il rancore,

 l’odio che tanto amava 

 può uccidere Lev Trotzkij in Messico

 e dire che lo ha fatto per caso

 un giapponese di passaggio.

 Nessuno

 disprezza la guerra come chi la fa

 come chi la fece e chi la farà,

 a nulla vale

 la vostra fedeltà,

 armi di terra di mare e dell’aria

 d’ogni foggia e d’ogni peso,

 minuscole o imponenti,

 rinoceronti o sorci di cantina,

 costosissimi o di prezzo risibile,

 a nulla vale la vostra

 dedizione a prova di bomba,

 voi che non sapete cosa sia

 l’obiezione di coscienza

 e nelle vostre tane

 in trepida attesa rimanete pure

e disposte alla transizione

 dalla potenza all’atto

 per uscire dall’inerzia che vi fa arrossire

 (così arrossisse l’uomo per la sua ingratitudine)

 dalla schiavitù dell’ozio

 dall’angoscia

 di sentirvi inutili (ah la tristezza

 di un cingolato fermo da anni!)

 e per essere voi stesse,

 poiché soltanto nell’azione

 vi è concesso di vivere,

 e vivendo compiere l’alta missione

 a cui siete chiamati,

 e immutato è il vostro fervore

 e diuturna la vostra indifferenza

 alla fatua domanda

 se siano le guerre a determinare la vostra esistenza

 o la vostra esistenza a determinare le guerre.

 Attendete il cenno dello starter

 per mettervi al servizio di tutti

 senza razzistiche discriminazioni

 fra guerre di conquista e guerre difensive.

 Anche le guerre giuste

 alleggeriscono gli arsenali

 tutte

 portano il loro obolo e sono benvenute

 poiché un’arma non è qualcosa

 che si confeziona lì per lì,

 un missile non si fa da un giorno all’altro

 e bisogna essere pronti alle richieste,

 meglio una produzione

 approssimata per eccesso

 che rispondere non ne abbiamo

 a chi ti chiede un carro armato,

 così dice l’anacoreta

 che nell’antro di Vulcano

 lungi

 dalle pompe del mondo

 dalle trombe

 della pubblicità

 senza risparmio ed a ragion veduta

 in potenza vi forgia e nell’ombra rimane.

 

 Ma il tacito grido di dolore

 che s’alza dagli arsenali e corre il mondo

 nessuno ascolta

 e farete altre guerre e nessun riconoscimento

 vi toccherà

 e dopo millenni di servizio ineccepibile

 ancora una volta si registrerà

 il colpevole oblio della Storia:

 dopo le Puniche

 e quella dei Cent’anni

 (ah le fascine che incenerirono Giovanna!)

 e quella dei Trenta e quella dei Sette

 e quelle dette mondiali, le ultime

 le più vicine al cuore di tutti,

 che hanno permesso Auschwitz e il grande fungo

 di Hiroshima,

 come non pensare a un’eroica missione

 dell’uomo ulisside?

 E il merito fu tutto vostro

 ma vi ignorarono i governi,

 nulla vi fu concesso

 non dico un diploma d’onore

 ma un cenno, una quisquilia un grazie mille

 e vinse come sempre l’impostura.

 

 Ora sappiate che in solitudine

 in un angolo del globo

 dice le vostre lodi un derelitto

 senza fare distinzioni

 (poiché la più modesta delle carabine

 vale il cannone a lunga gittata

 nessuno

 è democratico come un’arma letale)

 ed egli cerca in una vostra ancella

 l’emblema che vi rappresenta.

 Ed è la particola di piombo,

 quel grumo di Parca che investe il nemico

 secondo vostra delega

 così come la fantesca

 spolvera in luogo della signora la consolle,

 ed una ne elegge, il vostro cantore,

 fra quelle che a egregie cose furono chiamate

 con ciò sia che uccidere

 a Monza il monarca Umberto I

 o nel ’15 sul fronte italiano

 Renato Serra uomo di lettere

 o John Fitzgerald laggiù nel Texas,

 siccome è d’uso con i Presidenti,

 o a Memphis il più eretico

 dei due Martin Lutero,

 o ancora Charles Peguy sulla Marna,

 altro uomo di penna e di fede,

 non è come far fuori un qualsiasi caporale

 o un terrorista peruviano.

 

 A te dunque l’onore o rondinella

 (non oso chiamarti pallottola che meglio si addice

 a patata novella od oliva ascolana)

 che a Viznar nel trentasei

 hai messo in croce il bambino di Fuentevaqueros!

 Uccidere è un dovere,

 sei nata per questo

 ma non è da tutti costringere

 all’afasia dei morti chi ha cantato

 il Guadalquivir delle stelle.

 Si sa potevi avere un altro destino,

 finire nel miocardio di un quidam

 capotribù africano o spia d’estrema destra.

 Ti è andata di lusso,

 ringrazia

 l’involontaria volontà dei dadi

 e non eri nemmeno sola,

 solitamente agisci in compagnia

 poiché in tante l’effetto è più sicuro

 e si fa festa insieme

 vuoi mettere?

 Una raffica

 è come nel coro delle clarisse, l’infilata

 di perle d’argento che conclude il mottetto,

 ma niente gelosie

 una per tutte e tutte per una

 e il destino andaluso ha scelto te,

 il destino che è grazia

 lo si sa,

 in ogni sguardo di benigna stella

 c’è la notoria mano onde non cade foglia,

 nessuno dunque è degno come te

 di entrare a vele spiegate nella Storia

 che i nomi immortala …

 Già ma il tuo qual è?

 Il nome, il nome solo denota gli eroi,

 tu sei come la vergine Camilla

 Clorinda pluriarmata o strepitosa Brunhilde

 ma nessun pope ti ha battezzata

 Agnese o Elisabetta o Loredana o Giuditta,

 non ti si addice che un mausoleo

 sull’esempio del Milite Ignoto,

 ma come ritrovare

 un souvenir di piombo a Viznar

 da porre nel sacello?

 Da chi avere il permesso?

 Lasciatemi gridare nel deserto

 del mio interiore alzabandiera

 mentre la solita brezza

 triste per chi lo vuole oppure allegra

 passa per l’uliveto.

 

Sandro Bajini