Viaggiatori, Antonio Steffenoni

 

Il Venerdi - Zona critica

VIAGGIATORI, COMMESSI VIAGGIATORI, E BADANTI.

Emily Dickinson ha scritto “Per viaggiare non esiste battello più veloce di un buon libro“. E’ colpa sua se molti giovani scrittori hanno immaginato il proprio futuro in tutto simile al passato di autoriviaggiatori come Melville, Stevenson, Conrad o Hemingway, Fitzgerald, Graham Greene. Tutta gente che ha passato la vita soggiornando in località esotiche, raggiunte senza una valigia che non fosse il cofanetto della macchina da scrivere, fra panorami lussureggianti, musiche e colori ammalianti, mentre anche i loro libri, stampati in patria, prendevano a viaggiare, come vascelli, fra le genti e i Paesi del mondo, a visitare altre fantasie, a stuzzicare altri sogni.

Come molti giovani scrittori anch’io mi sono immaginato lontano da Milano e dall’Italia, intento a scrivere nel Paradiso Esotico prescelto, e poi a inviare i miei scritti agli editori che li avrebbero stampati e poi fatti salpare per i quattro angoli del mondo. Vuoi mettere? quella era vita. per me e per i miei libri che, come persone in carne ed ossa, avrebbero percorso, da soli, in lungo e in largo, il mondo. Poi è cominciata la vita reale di scrittore ed è stata tutta un’altra musica. Niente paradisi in terra in cui isolarsi, niente bagaglio leggero, niente libri capaci di cavarsela da soli. Invece, un penoso uscire di casa – la solita, in città – un indossare i panni di malinconici commessi viaggiatori e, come loro, armato di infinita pazienza e di sorrisi, cominciare, ad ogni nuovo libro, il giro sulla stessa giostra: una comparsata in TV con il libro in grembo a favore di macchina, un cocktail, una presentazione a Roma, una a Modena, una a Treviso. Con la frustrazione di constatare che il libro, ben lungi dall’avere la vitalità del vascello-fantasma sognato un giorno, ha la pesantezza di un formaggio stagionato che si porta di casa in casa perché qualcuno ne assaggi una porzione. E così, dopo qualche giorno, anche il libro finisce per assumere l’aria afflitta di un vecchio, stazzonato compagno di viaggio al quale dobbiamo reggere la mano perché non precipiti e cambiare, ogni po’, il pannolone perché non faccia una pessima figura davanti a tutti. Insomma, da viaggiatori a viaggiatori di commercio e, infine, a badanti.

Che delusione. Finisce che non si rileggono più volentieri gli autori di una volta. Ci farebbero sognare ancora e sognare ha un costo terribile: come diceva Zelda Fitzgerald, che di queste cose se ne intendeva, ci si ritrova a confrontare ciò che è con ciò che avrebbe potuto essere. Meglio lasciar perdere.

Antonio Steffenoni